Quando un albergo diffuso salva un paese intero
Quando un albergo diffuso salva un paese intero

Quando un albergo diffuso salva un paese intero

Andiamo in Carnia alla scoperta del modello dell’albergo diffuso, innovativa forma di accoglienza turistica che rivitalizza l’economia del territorio e la comunità che lo abita

“Mandi”.

Ci si saluta così, in friuliano. A Sutrio, piccolo paese tra i più antichi insediamenti della Carnia, gli abitanti hanno ormai l’abitudine di rivolgere questo saluto dialettale anche ai turisti, che qui diventano veri membri della comunità. È merito dell’albergo diffuso Borgo Soandri, dove lavora la socia di RIFAI Ilaria Selenati. Scopriamo attraverso le sue parole questa realtà friulana e in quale modo un albergo orizzontale, sparso per il paese, possa diventare uno strumento di sviluppo sostenibile per le aree interne.

Fuggire da un paese… Per poi tornare

Ilaria parla di sé per citazioni letterarie. La prima è di Cesare Pavese, il celebre adagio “Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via”, scritto nel 1949 ne “La Luna e i Falò” e calzante nel descrivere la fuga da Sutrio di Ilaria, quando aveva 19 anni. La seconda è il donchisciottesco duello con i mulini a vento, simbolo del timore di trovarsi sola a combattere contro il disfattismo di chi non crede nel cambiamento ora che, a 29 anni, è tornata nel suo paese di origine.

Sono citazioni che rivelano una delle vite passate di Ilaria, trascorsa tra i volumi di una biblioteca. La sua è una storia di ritornanza, cambiamenti e percorsi non lineari di quelle che a noi di RIFAI piacciono da impazzire. Terminati gli studi superiori abbandona Sutrio perché, come ci racconta, “lo vedevo come un posto chiuso, e sono scappata perché volevo trovarmi prima che qualcun altro mi mettesse delle etichette addosso”. Inizia così il suo percorso di ricerca personale che la porta a studiare a Trieste, poi a Parma per lavoro e in seguito alla Biblioteca Guarneriana di San Daniele del Friuli. Quando quella vita inizia ad andarle stretta si reinventa ed entra in un’agenzia di comunicazione di Trieste, fino a quando il destino non bussa alla sua porta. L’albergo diffuso del suo paese di origine cerca una figura che si occupi proprio di comunicazione.

Cos’è un albergo diffuso

“Cominciavo a sentire la voglia di tornare, volevo un contesto di vita diverso”, racconta Ilaria. Stufa degli appartamenti scomodi e del caos continuo della città, desiderava più spazio e contatto con la natura. “Sono abbastanza fatalista e credo che nulla succeda per caso, così quando mi si è aperta l’opportunità dell’albergo diffuso l’ho colta al volo”, ricorda. E così, da inizio 2023, chiama di nuovo “casa” le montagne della Carnia.

La ritornanza di Ilaria è anche una forma di restituzione al suo paese di quanto imparato fuori. Ilaria oggi gestisce la comunicazione dell’albergo diffuso Borgo Soandri, e mette le competenze acquisite con le sue esperienze passate al servizio di un progetto che fa del bene alla comunità. 

“L’albergo diffuso nasce negli anni ’80 dopo il terremoto di Gemona del 1976”. La devastazione si aggiunge a un già evidente trend di esodo verso le città, lasciando indietro stalle abbandonate, case diroccate. Qui il paesaggio antropico è minacciato non dall’eccessivo sfruttamento, ma al contrario dal declino e dall’abbandono dei territori.

È in questo contesto che si delinea una nuova strategia per il recupero dell’edilizia montana: l’albergo diffuso, una forma innovativa di accoglienza turistica sparsa per il paese, che permette di soggiornare a stretto contatto con i residenti. Accedendo ai fondi europei, i proprietari delle abitazioni diroccate hanno la possibilità di ristrutturarle, per poi affidarle all’albergo diffuso affinché le affitti. L’attività turistica, qui, non è estrattiva, ma al contrario viene messa a sistema con le forme di economia tradizionale e contribuisce alla conservazione del patrimonio culturale e naturale della Carnia.

Il rapporto tra turista e comunità

La promessa di Borgo Soandri è di avere un paese per albergo. “Le case sono disposte in tutto il comune e nelle frazioni, per cui si diventa un abitante della comunità ed essendo noi una comunità piccola siamo molto attenti a chi arriva da fuori”, spiega Ilaria. ”Si è subito molto riconosciuti ma anche molto accolti”. L’appuntamento immancabile per immergersi nella comunità di Sutrio è alle ore 17.00 in osteria per bere un taj, il bicchiere di vino friulano. “Si cerca di creare un’accoglienza diffusa che ha anche avuto l’effetto di abituare gli abitanti a questo tipo di confronto con i turisti”.

L’albergo diffuso, secondo Ilaria, salva la comunità in tanti modi. La salva aprendola all’incontro con l’altro, abituandola alla presenza di chi non fa parte del territorio. La salva facendola riscoprire orgogliosa delle proprie tradizioni, che condivide con i turisti nelle cinque feste tradizionali celebrate ogni anno. E la salva infine economicamente, perché là dove c’è turismo si crea il bisogno di nuovi servizi. Negli ultimi 20 anni in paese sono state avviate numerose attività, dai classici bar al birrificio artigianale, fino alle aziende agricole che collaborano con l’albergo diffuso.

Eppure a Sutrio manca qualcosa…

“Il paese mi ha accolta con grande felicità, è stato bello ritrovare le persone, tutte entusiaste dell’arrivo di nuove persone giovani”, ricorda Ilaria. Trasferitasi pochi mesi fa, ha tuttavia già identificato una criticità della vita sociale e culturale locale: nonostante lo sviluppo turistico, Sutrio offre ancora troppo poco ai suoi giovani. “In paese ci sono varie associazioni con un seguito importante e che tuttavia sono sempre tematiche e legate allo sport, alla musica, alla parrocchia”, constata. “Manca però un gruppo di giovani che possa progettare insieme iniziative diverse, o una realtà culturale che offra una proposta più strutturata”.

Ilaria è entrata in RIFAI anche per nutrirsi di esperienze che dimostrino che innovare è possibile, per sentirsi meno sola di fronte a quei mulini a vento che abbiamo citato in apertura. “In RIFAI mi aspetto di trovare delle anime affini, perché nelle aree marginali c’è un po’ la tendenza a opporsi al cambiamento. Invece essere parte di una rete che ti mette continuamente davanti a esperienze di innovazione, progetti e iniziative ti stimola a fare altrettanto nel tuo quotidiano”.